Pianificazione strategica: 10 errori da evitare

Il 19 novembre 1959 Ford annunciò la fine della produzione di autovetture con il marchio Edsel.
10 anni di investimenti per attività di sviluppo, ricerca, analisi di mercato e marketing, per lanciare sul mercato un nuovo marchio di fascia medio-alta si trasformano, così, in un colossale flop.
Dopo appena 2 anni di produzione la casa automobilistica di Detroit fu costretta ad una dolorosa marcia indietro, incamerando perdite per 350 milioni di dollari a fronte di 250 milioni di costi sostenuti.

Errori in termini di pianificazione strategica e industriale, uniti al mancato bilanciamento tra istanze di breve e lungo termine, condussero l’azienda fondata da Henry Ford a scrivere una triste pagina dell’industria automobilistica statunitense.

Volevano entrare in mercato nuovo, quello dei consumatori che spinti dalla crescita economica volevano acquistare autovetture più costose e performanti delle economiche Ford, ma in fase di lancio e vendita la recessione aveva cambiato le carte in tavola.

Per non parlare degli scivoloni nel design e nell’industrializzazione dei nuovi modelli:  ancora oggi “Edsel” è ricordata così: “Every Day Something Else Leaks“, ovvero, in italiano, “Ogni giorno perde qualcos’altro”.

Oggi più di allora, non sono più sufficienti magici piani industriali e perfetti business plan di lungo periodo per riuscire a governare il cambiamento continuo e imprevedibile a cui è sottoposta qualsiasi azienda.

“Con buona pace di manager ossessionati dal controllo, investitori e imprenditori aggrappati a vecchie logiche tradizionali: dati, previsioni, target dettagliati, piani d’azione pluriennali, analisi delle voci di costo e di profitto che spaccano il capello in quattro non servono più”.
Luciano Attolico – Strategia Lean Lifestyle

Per coltivare e realizzare grandi sogni imprenditoriali e surfare le onde dell’incertezza, tipiche dei nostri giorni, dobbiamo imparare a unire capacità di visione lungimirante e sano pragmatismo.
Da un lato, diventa fondamentale la capacità di definire e condividere una visione comune costruita insieme a un’ampia fetta di collaboratori che si traduce in strategie aziendali condivise dove ciascuno è consapevole del suo ruolo e del contributo che può dare al successo dell’organizzazione. Dall’altro lato questa capacità di visione si deve coniugare con la capacità di agire ogni giorno e con la costruzione di sistemi aziendali in grado di favorire l’esecuzione della visione e della strategia.
Sognare in grande e agire ogni giorno in piccolo è ciò che ha permesso all’umanità di compiere grandi imprese.

La capacità di coniugare visione ed esecuzione è uno dei pilastri di una Lean Lifestyle Company , un’azienda che ambisce a creare il massimo valore ed esprimere tutto il suo potenziale umano, tecnologico e organizzativo per ottenere più prestazioni e contemporaneamente più benessere.
Per acquisire la capacità di essere visionari e allo stesso tempo pragmatici è opportuno fare attenzione ad alcuni errori ricorrenti.

I dieci errori da non commettere nella pianificazione strategica

Luciano Attolico, nel libro “Strategia Lean Lifestyle” sintetizza i principali errori osservati nella pianificazione strategica. Non vuole essere una lista esaustiva, ma un’occasione di riflessione per fare passi avanti nella sfida di creare nuovi piani strategici aziendali secondo i principi di una Lean Lifestyle Company.

 

1. Decisioni istintive e selezione degli obiettivi sbagliati

È l’errore in cui incappiamo quando le decisioni sono prese con pochi dati e informazioni parziali. Quando riflettono in gran parte desideri, modelli e schemi mentali di poche persone invece che riflettere interpretazioni oggettive di rischi e opportunità per l’azienda.
Un modo furbo ed efficace per allargare i nostri schemi mentali è quello di integrarli con quelli altrui. Pertanto la pianificazione strategica deve essere concepita come un momento di team building vero, in cui il risultato finale rifletta un lavoro di integrazione, calibrazione reciproca, discussione costruttiva nell’interesse dell’intera azienda e non della singola funzione.

 

2. Assenza di chiari elementi fondanti di base: Valori, Vision e Mission

Quando la strategia aziendale non ha un legame con una visione ideale di lungo termine, ma si basa solo su tattiche opportunistiche e speculative, sarà molto bassa la probabilità di fare le scelte giuste.
In ogni azienda le persone sono motivate dai significati e dalle motivazioni profonde delle loro azioni, non da fredde percentuali di miglioramento e sfidanti obiettivi da raggiungere fini a se stessi.

 

3. Scarso processo di comunicazione al team e agli stakeholder

Quando una strategia non è strutturata e ben comunicata a tutti, non è più una strategia, ma un insieme di affermazioni e di obiettivi di alto livello che rimane solo nella cabina di regia e non svolge uno dei suoi compiti principali: “portare a bordo” tutte le persone.
La strategia in azienda dovrebbe servire a spiegare qual è la direzione che si vuole intraprendere e perché. In modo da far convergere gli sforzi e i contribuiti di tutte le persone verso la stessa direzione. E per essere un’efficace comunicazione, inoltre, deve essere concepita come bi-direzionale, ovvero tale da accettare e includere i feedback e le calibrazioni dei contenuti strada facendo.

 

4. Processo unidirezionale e autoritario

Dietro il successo e la crescita delle più grandi aziende non c’è quasi mai un solitario e autoritario capo al comando, ma solidi sistemi di gestione aziendale e un esteso team di persone che viene ispirato e guidato dalla figura del leader che, tuttavia, non si sostituisce a loro nelle decisioni e nella conduzione operativa dell’azienda.
La differenza è sottile, ma fondamentale: far sentire i collaboratori proprietarie e conduttori sostanziali dell’azienda invece che semplici dipendenti ed esecutori di idee altrui.

 

5. Carenza nel monitoraggio e nella verifica dei progressi

Spesso la strategia di un’azienda si ferma alla fase di strategy generation (genesi delle direzioni strategiche da intraprendere), senza dedicare  il giusto spazio alla progettazione e alla realizzazione delle due fasi successive, la strategy deployment (declinazione operativa a tutti i livelli della strategia) e la strategy execution (monitoraggio e governo operativo del piano strategico), di gran lunga più importanti se ci poniamo dal punto di vista di chi lavora tutti i giorni in azienda.
Quando e come monitorare, come reagire alle deviazioni, come coinvolgere le persone, come valorizzare i progressi, come legare insieme tutti gli elementi del piano strategico, sono esempi della fase esecutiva di un piano strategico durante i quali l’azienda deve decidere se perseverare sulla propria rotta, se calibrare o cambiare direzione.

 

6. Cattiva gestione dei vincoli temporali e di allocazione delle risorse

Le aziende spesso fanno pianificazione con sovraccarico delle risorse. I carichi di lavoro non sono gestiti a “capacità finita”, ma a “capacità infinita”.
Non gestire i vincoli temporali e di allocazione delle risorse disponibili porta le aziende a non riconoscere le carenze di capacità. Il problema va risolto gestendo opportunamente la quantità di progetti che si lanciano contemporaneamente, adeguando le composizioni dei team di progetto in base alle reali sovrapposizioni tra un progetto e l’altro, e facendo ricorso a forme di organizzazione agili e fluide, dove team piccoli e autonomi, con risorse certe, sono focalizzati su pochissimi progetti in modalità “full immersion”.

7. Attività pianificate senza sufficiente cura dei fattori di insuccesso

Tutto ciò che pianifichiamo spesso non si realizza esattamente nel modo in cui lo abbiamo immaginato.
Alcuni fattori concorreranno positivamente al raggiungimento dei risultati desiderati, mentre altri fattori concorreranno negativamente. Nell’ambito della pianificazione ed esecuzione di una strategia aziendale vincente, una delle capacità più importanti da sviluppare a livello manageriale è la cura preventiva dei possibili fattori di insuccesso.

 

8. Autoreferenzialità

Spesso molte aziende non crescono come potrebbero perché non pianificano la crescita ma tendono, invece, a ripetere mosse strategiche fatte nel passato, perché, in fondo, danno maggiore sicurezza.
In un contesto con estrema variabilità e veloci variazioni dei bisogni del mercato, è un errore comune puntare su fattori competitivi definiti con l’ottica dell’azienda e non dei possibili acquirenti. Questo errore deriva anche dal limitare l’osservazione a chi ha già comprato da noi nel passato.
Se vogliamo abbattere le restrizioni dell’autoreferenzialità nella nostra strategia aziendale, dobbiamo vedere con occhi diversi i nostri clienti, passati e attuali, e chiederci cosa fare affinché acquistino da noi di nuovo allargando anche il perimetro di fornitura, e cominciare a studiare di più chi oggi sceglie consapevolmente di non comprare da noi, ma decide di acquistare beni e servizi da altri competitor.

 

9. Cattivo equilibrio tra innovazione incrementale e innovazione ad alto impatto

Un buon piano strategico dovrebbe proteggere l’azienda dai rischi legati all’obsolescenza del modello di business, delle tecnologie, dei prodotti e servizi, così come dovrebbe aiutare a prevenire situazioni di crisi dovute a nuovi vincoli normativi e legislativi, nuove condizioni di mercato e tutto ciò che mina il proficuo funzionamento aziendale.
Allo stesso tempo, una buona strategia dovrebbe aiutare l’azienda a cogliere nuove opportunità di mercato, di tecnologie, di prodotto e servizi al fine di fare crescere profitti e margini. Questo è ottenuto bilanciando iniziative di miglioramento incrementale e iniziative tese a creare nuovi spazi di mercato oppure tese a creare ex novo fattori competitivi in grado di fare la differenza rispetto ai competitor.

 

10. Sindrome della fortuna

È l’errore tipico di quelle situazioni in cui la crescita di un’azienda è legata a un settore che sta crescendo di per sé e non a una strategia specifica. Oppure quando la crescita è legata a una mossa strategica indovinata nel passato, ma non seguita da successive mosse strategiche vincenti.
In questi casi l’illusione della continua ascesa è pericolosa, perché le leve della crescita sono fuori dal controllo aziendale e non mostrano le pericolose carenze strutturali, finché il problema non scoppia! Potremmo declinare la sindrome della fortuna anche nel suo opposto: sindrome della sfortuna, ovvero ritrovarsi in un settore in rapido declino o con profondi mutamenti strutturali e rassegnarsi all’estinzione aziendale. Anche in questo caso l’errore è non concentrarsi abbastanza sulle leve che l’azienda può agire invece che lasciarsi inebriare o deprimere solo da fattori esterni e contingenti.

 

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